Il superamento degli OPG le REMS. Oltre le buone intenzioni. di Pietro Pellegrini
“Le Rems: uscire dall’inferno solo con le buone intenzioni” di Marco Patarnello [2], magistrato di sorvegIianza a Roma offre l’occasione per alcune riflessioni circa il periodo post-OPG, non solo per la questione della legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Tivoli, quanto invece per la concezione della salute mentale ed in particolare della cura dei disturbi mentali a partire da un altro punto di vista, quello dello psichiatra, cogliendo così l’occasione per un auspicato dialogo.
Prima di entrare nel merito, occorre ricordare come si sia realizzata una riforma incompleta che non ha modificato il codice penale in tema di imputabilità, pericolosità sociale e misure di sicurezza. Persiste un “doppio binario” mentre sarebbe auspicabile un sistema unitario che riconosca a tutti il diritto al processo, vedendo poi in fase di esecuzione della pena, previa valutazione e gestione dei rischi, quali siano gli aspetti retributivi, trattamentali e terapeutici più appropriati per la singola persona. Il doppio binario e la doppia organizzazione rischiano di creare percorsi alternativi, spesso frammentari e poco efficienti, in relazione a letture che spesso sono parziali. Solo mediante una visione d’insieme biopsicosociale e culturale si potrà rispondere alle diverse determinanti delle condotte violative e antisociali.
Quindi, ai fini della cura e del diritto alla salute, la riforma dovrebbe essere completata e resa coerente con la legge 180 del 1978. Perché se la pena si può imporre, la cura no, se non per brevi periodi. Il ruolo della persona nella relazione di cura, è ampiamente riconosciuta da leggi non ultima la 219/2017 su consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento. Non c’è disturbo che si possa prevenire, diagnosticare, curare e tanto meno riabilitare senza il consenso, la partecipazione attiva della persona. Ancor più nei quadri di dipendenza (da alcool, nicotina, da sostanze) che richiedono come noto un alto livello motivazionale.
Quindi la cura ha delle sue norme ed il sistema di psichiatria di comunità non ha un’organizzazione in grado di esercitare compiti custodiali, che sarebbero per altro impropri. Se questo è ciò che si ricerca è utile essere espliciti: non s’invochi il diritto alla salute della persona quanto piuttosto l’idea di tutelare la sicurezza e la comunità sociale, non tanto rispetto a malati quanto a soggetti “disturbanti”. Per i quali ci si preoccupa di più di dove metterli piuttosto del come e con quali percorsi e risorse prendersene cura.
Una soluzione auspicata da Patarnello dovrebbe consistere in un “intervento correttivo o integrativo del Legislatore (forse anche regionale) o almeno per l’impegno senza risparmio di risorse da parte della politica e delle amministrazioni regionali per il reperimento – quanto meno – di un numero di posti vagamente comparabile alle esigenze concrete, per la realizzazione di soluzioni architettoniche e immobiliari adatte alle diverse esigenze e per l’individuazione di una forza di polizia o di personale finalizzato a garantire la sicurezza interna.”
In altre parole più posti REMS, quanti? Si ritengono insufficienti i 631 presenti a livello nazionale[3]? Le REMS, dove 8,9% degli operatori è costituito da personale di Enti di vigilanza privata, devono migliorare la sicurezza interna? Davvero le REMS sono diventate come la chimera e risultano sostanzialmente inutilizzabili?
Pur mancando una regia e un osservatorio istituzionale nazionale qualche dato può aiutare. Esiste il problema della lista di attesa (390 persone ad aprile 2019, un dato nazionale non certo), ma le REMS mostrano un buon turnover, infatti delle 1580 persone transitate nelle REMS nel periodo 31 marzo 2015- 11 marzo 2019, pari al 65,1% è stato dimesso e i reingressi sono stati pari al 3,2%. Mancando dati epidemiologici nazionali, si stima che vi siano almeno 6.000 pazienti psichiatrici autori di reato seguiti dai Centri di Salute Mentale.[4] Quindi non solo larga parte dei pazienti provenienti dagli OPG è stato dimesso ma una quota molto significativa è seguita sul territorio e per il 70% sono ospiti di Residenze o Comunità con un significativo impegno di spesa delle Regioni. Questi dati contrastano con il vissuto di fallimento totale. Ma di fronte alle difficoltà segnalate, oltre ad auspicare maggiori posti “senza risparmio di risorse”, allo stato attuale delle cose, si può fare qualcosa per migliorare il funzionamento dell’intero sistema?
Le REMS ospitano quasi un terzo di persone con misure sicurezza detentive provvisorie, che assumono il significato di misure cautelari per soggetti, da considerarsi presunti innocenti, per i quali l’imputabilità non è stata accertata in modo certo e dialettico e così la pericolosità sociale. Trattasi per lo più di soggetti indifesi e/o mal difesi, spesso senza diritti. Tutto questo non determina affatto le condizioni per la cura psichiatrica.
Si rifletta su questa prassi, sulla necessità di utilizzare le REMS o il carcere per reati modesti ma ripetuti, di soggetti utilizzatori di sostanze e coinvolti in piccoli traffici o furti, socialmente molto stigmatizzati per i quali si ritiene di dover fare qualcosa, di dare un segnale.
A questo proposito capisco bene il vissuto, le pressioni che a fronte di un vicino “disturbante”, dell’ennesimo atto, ricevono Forze dell’Ordine, Magistrati ma anche gli Psichiatri.
Questo rimanda al tema della gestione dei conflitti, della devianza, delle violazioni, della piccola criminalità, ma anche della violenza domestica (si pensi al Codice Rosso) e al ruolo che devono svolgere i diversi servizi sociali, sanitari, della giustizia e dell’ordine pubblico.
Le politiche securitarie, l’idea che il carcere sia l’unica risposta ai problemi complessi hanno ridotto le capacità di intervenire in altri modi, con provvedimenti mirati, diversi, alternativi, che riconoscano diritti all’identità, alla cittadinanza, alla formazione, al lavoro, al reddito, alla casa a percorsi di cura con budget di salute e a controlli dell’ordine pubblico moderni (magari con braccialetti elettronici, app ecc.). Interventi nei quali la persona stipula un “doppio patto”, uno con la giustizia e l’altro con il sistema sociale e sanitario.
Ancora: un 35% circa dei pazienti delle REMS ha commesso reati tutto sommato modesti per i quali viene da chiedersi se non siano possibili altri percorsi, preventivi e alternativi.
Con la collaborazione reciproca, l’uso delle nuove tecnologie (ancora i fax?), si può migliorare la gestione della lista di attesa mediante protocolli, tavoli, cruscotti, curando non solo l’appropriatezza degli accessi ma anche monitorando i percorsi, favorendo e sollecitando le dimissioni dalle REMS, stringendo i tempi delle udienze, delle comunicazioni e dei passaggi interni, vedendo quali percorsi innovativi promuovere per i soggetti ad alto rischio di ricaduta nel disturbo e nella recidiva dei reati. Tali sono i disturbi da sostanze, classicamente definiti come “cronici e recidivanti “ e quindi da affrontare tenendo conto dei rischi, condividendone la gestione, anche con programmi innovativi.
Questo riguarda anche il carcere dove la quota di persone con uso di sostanze oscilla dal 30 al 40% il che in primis dovrebbe interrogare il Legislatore e favorire risposte diverse non incentrate sulla mera custodia o sul trattamento psichiatrico negli Istituti di Pena o nelle Articolazioni Tutela Salute Mentale.
Alle REMS non vanno inviati i soggetti criminali, altamente psicopatici, dipendenti da sostanze, i sex offender. Questo va detto con chiarezza a tutti, ai periti, agli avvocati e ai magistrati talora propensi a facilitare il riconoscimento della non imputabilità. Per queste persone è altro che occorre fare, con strumenti e offerte di trattamenti mirati ma nell’ambito di un’articolata risposta penitenziaria e di appropriati percorsi alternativi personalizzati come per altro indicato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 99/2019 in riferimento alla sopravvenuta infermità mentale in carcere (art 148).
Le questioni della trattabilità dei disturbi e dei bisogni di sicurezza vanno valutate con molta attenzione e con strategie gestionali, dipendenti dai diversi contesti e non necessariamente incentrate sulla mera constatazione del disturbo mentale e la sola misura della riduzione della libertà di movimento e dei contatti. Non è un luogo che cura ma un insieme di relazioni complesse.
Fa riflettere che l’ordinanza di Tivoli, riguardi un caso dai chiari connotati sociali (la richiesta di “buoni alimentari”) e che si metta in moto un provvedimento giudiziario, certamente dovuto e legittimo, e poi interventi sanitari dei quali non sono definiti appropriatezza, efficacia e costi rispetto ai problemi posti. Si pensa davvero di risolvere quelle situazioni siano i posti REMS?
La (presunta) mancanza di posti REMS è imputabile a carenze delle Regioni? Si ritiene al contrario necessaria una diversa competenza del Ministero della Giustizia, e del DAP e con questo risolvere il problema? Evidentemente, chiamato non solo a notificare e richiedere il posto REMS ma pensando che debba e possa renderlo in un qualche modo disponibile?
Il come non viene detto ma è facilmente immaginabile, cioè imponendo i casi alle REMS, superando d’imperio il numero chiuso? Forzando così i tempi di attesa e la riluttanza degli psichiatri responsabili delle REMS? Non è certamente questa la soluzione in quanto altererebbe le funzioni sanitarie e le renderebbe sostanzialmente inutili. Tanto vale che a svolgere il compito provveda interamente il Ministero della Giustizia, compresa la gestione delle REMS. Un ritorno al passato?
Forse conviene consegnarlo alla storia e con la consapevolezza delle difficoltà andare avanti. Nel pieno rispetto delle visioni di ciascuno e del lavoro di tutti, per quanto attiene la psichiatria, le condizioni della cura sono il consenso, la partecipazione della persona, la responsabilizzazione nella libertà. Un’accoglienza non giudicante è premessa di un possibile cambiamento fondato su fiducia, rispetto reciproco, interventi psicoterapici, farmacologici e socioriabilitativi, in una prospettiva di presa di coscienza, riparazione, della conciliazione e riparazione possibile. Il paziente con disturbi mentali è capace di responsabilità, è curabile, può essere produttivo, è portatore di diritti e doveri come tutti.
Per le persone con alta pericolosità, a prescindere dalla presenza o meno di un disturbo mentale, sono possibili altre impostazioni, centrate sulla limitazioni della libertà personale, sulla tutela della comunità sociale, sulla costrizione che vedono precise leggi e competenze. In questi ambiti la cura psichiatrica è quella possibile, talora quasi nulla o solo sintomatica.
Un soggetto con un disturbo psichiatrico e un’alta e persistente pericolosità sociale e criminale non trae beneficio da una misura di sicurezza detentiva ma dai percorsi giudiziari ordinari, attraverso i quali venga confrontato con il reato commesso, possa difendersi come tutti e venga sottoposto a giudizio. La non imputabilità, la non capacità di stare in giudizio, il proscioglimento fanno male al paziente, ne ritardano la presa di coscienza, non cancellano affatto nel suo mondo interno il vissuto del reato, lo rendono se possibile ancora più inquietante e indecifrabile, anche perché privato della necessaria condanna della legge e quindi sociale. Sarà in fase di esecuzione della pena che si predisporranno tutti gli interventi compresi quelli psichiatrici.
Quindi, a mio parere, occorre superare la cultura e la pratica della misura provvisoria, tanto ambigua da risultare essa stessa incomprensibile al paziente e talora anche ai curanti, giocata tra misura cautelare e bisogni di cura inespressi. Questo non solo eviterebbe misure ineseguibili per mancanza di posti REMS lasciando il soggetto sostanzialmente libero oppure indebitamente carcerato, ma aprirebbe la via ad una normalizzazione degli interventi sia giudiziari che sanitari, condizione preliminare per una loro efficacia. La legislazione speciale per i disturbi mentali, le norme dei codici penale e di procedura penale andrebbero profondamente rivisti, anche ai fini di una cura adeguata.
Gli strumenti devono essere chiari e specifici anche nel caso dell’obbligatorietà e della coercizione: in sanità Trattamento Sanitario Obbligatorio con i limiti e le garanzie della 180/1978. Non si pensi invece che sia possibile per via giudiziaria attraverso le misure di sicurezza detentive, le prescrizioni della libertà vigilata magari procrastinata sine die, ottenere ciò che nessuna legge al momento prevede, e cioè il Trattamento Sanitario Obbligatorio Prolungato.
A questo punto anche le prassi di psichiatri e magistrati possono trovare nuovi e più avanzati punti d’incontro, unendo la più avanzata cultura giuridica con le migliori conoscenze e pratiche professionali psichiatriche basate sulle evidenze che prevedono il superamento di concetti non scientifici come quello di imputabilità e di pericolosità sociale. Le REMS sono servite per realizzare una scelta di civiltà, quella di chiudere gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari ma non hanno risolto tutti i problemi e mantengono ancora un livello custodiale che andrebbe totalmente superato. Sono strutture di cura, con indicazioni e connotati precisi. Non sono adatte a persone con pericolosità criminale e sociale, né questo problema può essere risolto restituendo una competenza al Ministero della Giustizia o al DAP. E’ necessaria come detto un’ampia collaborazione tra psichiatra, sociale e giustizia e servirebbe un’azione del legislatore, che riprenda la proposta di legge avanzata da Franco Corleone[5] e promuova una riforma del sistema penale. E infine, concordo con Patarnello, piena fiducia nella Corte Costituzionale.
[1] Pietro Pellegrini – Direttore Dipartimento Assistenziale Integrato Salute Mentale Dipendenze Patologiche Ausl di Parma. Membro del Coordinamento REMS/DSM ppellegrini@ausl.pr.it
2 http://www.questionegiustizia.it/articolo/le-rems-uscire-dall-inferno-solo-con-le-buone-intenzioni_02-06-2020.php
3 Corleone F. (a cura di) Il muro dell’imputabilità. Dopo la chiusura dell’OPG, una scelta radicale, Fondazione Michelucci Press, Firenze, 41
4 Cecconi S.,Pellegrini P. L’osservatorio sulle REMS: Primo report in Corleone F. (a cura di) Il muro dell’imputabilità. Dopo la chiusura dell’OPG, una scelta radicale, Fondazione Michelucci Press, Firenze, 71-78
5 Corleone F. (a cura di) Il muro dell’imputabilità. Dopo la chiusura dell’OPG, una scelta radicale, Fondazione Michelucci Press, Firenze, 33