Superamento OPG e tutela della salute mentale dopo la sentenza 22/2022 della Corte Costituzionale. di Pietro Pellegrini
L’incontro sul “Superamento OPG e tutela della salute mentale dopo la sentenza 22/2022 della Corte Costituzionale” ha portato alla luce diversi temi.
La sentenza della Corte Costituzionale è oggetto di valutazioni diverse.
- a) Valutazioni positive
Da un lato un sollievo per il riconoscimento della costituzionalità della legge 81 e una sostanziale presa d’atto della validità del percorso di superamento dell’OPG. Vengono indicati punti di frizione con i principi costituzionali, la necessità di dare esecuzione tempestiva alle misure giudiziarie chiedendo di affrontare il problema della lista di attesa demandando analisi di dettaglio e soluzioni ai diversi attori istituzionali. In questo un ruolo deve riconosciuto al Ministero della Giustizia.
- b) Aspetti preoccupanti e rischio di regressione
L’aspetto più inquietante è quello relativo alla natura della misura di sicurezza detentiva che unirebbe insieme privazione della libertà e coercizione alle cure. Una lettura che suscita molte perplessità in quanto per il malato mentale autore di reato non dovrebbero valere le leggi n. 180/1978 e n. 219/2017 ma ancor più perché sul piano medico psichiatrico non vi può essere cura senza il consenso, la partecipazione, la responsabilità e la prospettiva della libertà. Se dovesse persistere una tale lettura della misura di sicurezza si aprirebbe un interrogativo sul senso di una gestione sanitaria delle REMS che per me diviene anche di tipo etico-deontologico.
- c) Quale modello di REMS?
Dalla natura della misura di sicurezza detentiva quale modello di REMS ne discende?
Si conferma una struttura sociosanitaria come configurata dal Decreto del Ministero della Salute 1 ottobre 2012 a gestione esclusivamente sanitaria e con sorveglianza perimetrale demandata alle Forze dell’Ordine e quindi senza Polizia Penitenziaria? Una struttura simile ad altre “Residenze”, strutturalmente connessa ai contesti, integrata nei DSM, permeabile e temporanea, al fine di un utilizzo “residuale”. Concetto quest’ultimo rimarcato anche dalla Corte Costituzionale. O si pensa ad una struttura custodiale penitenziaria, nella piena disponibilità del DAP, nella quale la psichiatria opera come in un istituto di pena?
Le esperienze delle REMS sono molto diversificate ma alcuni principi si sono affermati, e ciò non era scontato: numero chiuso, territorialità, sostanziale assenza delle contenzioni fisiche. Strutture che rispettano il consenso ed attuano i TSO nelle sedi previste dalla legge, cioè i SPDC. Cosa significa coercire nelle REMS? Può essere un SPDC “giudiziario”? Sono domande legittime alle quali dare risposte chiare.
Nelle REMS la limitazione della libertà è stata interpretata non tanto in senso deprivativo ma come occasione per prendere atto di una situazione, di un dato di realtà che si impone tramite la legge e in molti casi con una “coazione benigna”. Una limitazione della libertà di movimento, spesso concertata più che imposta, nell’ambito di un percorso di responsabilizzazione che mira a permettere un migliore percorso di cura e di vita. Quindi in molti casi si sono curate relazioni, contatti telefonici, visite, contatti, opportunità di formazione, lavoro, sport, cultura, socialità.
In questo la misura giudiziaria dovrebbe declinarsi in dettaglio ed affiancarsi al percorso di cura, stabilendo con la persona il c.d. “doppio patto”. L’ammissione in REMS non è la collocazione in un posto letto ma deve tenere conto che si tratta di un percorso specialistico che richiede un’elevata appropriatezza.
E’ pur vero che le REMS hanno ereditato dagli OPG aspetti custodiali, incentrati sul controllo e sicurezza. Testimonianza di questo è la presenza di vigilanza privata, pari a circa il 10% del personale. Questa eredità va superata tenendo conto che la psichiatria non ha “contenitori” ma percorsi organizzati per intensità di cura e livelli specialistici. L’impressione è che di questo aspetto si tenga poco conto e si propenda per visioni ancora asilari o aspecificamente sociali poco orientati a messaggi positivi, incentrati da un lato sulla speranza e la recovery e dall’altro sulla competenza tecnica.
Il modello di REMS ha poi grandi effetti sull’esterno sia per la prosecuzione dei percorsi, sia perché la REMS potrebbe essere invocata come soluzione dei diversi problemi sociali e conflitti familiari, specie se si richiama un dovere di protezione sociale. Tema quest’ultimo che andrebbe declinato in tutta la sua complessità per evitare soluzioni semplicistiche fondate sulla carcerazione (e il buttare le chiavi). Il tema del “patto sociale” è un elemento sommerso.
Più la REMS è staccata dai DSM più sono difficili le dimissioni, più sarà grande il salto e la tendenza all’evitamento da parte dei CSM.
Se la REMS non evolve ma torna nella filiera della giustizia il suo potenziale terapeutico è destinato ad entrare in crisi e i problemi già visti in OPG tenderanno a riproporsi.
D’altra parte il tema della sicurezza, controllo, sorveglianza non è eludibile. Quindi i modelli devono trovare una loro coerenza e operatività. Si va dalla comunità terapeutica democratica a forme di gestioni quasi penitenziarie. Si fa da modelli aperti in grado di preservare dignità e diritti all’ affettività, relazioni anche sessuali ad altri chiusi e altamente deprivativi. Occorre aumentare diritti, definire regolamenti REMS differenti da quelli penitenziari, valorizzare Carte dei Servizi, PTRI, azioni innovative.
- d) Quali istituti di pena?
E’ un punto in ombra nella sentenza ma proprio per questo si staglia pesantemente sul tutto. Chi pensa che il problema dei disturbi mentali in carcere si possa semplicemente espellerlo ed affidarlo alla psichiatria (colloqui e farmaci), non coglie come il tema della salute mentale interessi tutti coloro che vivono l’esperienza detentiva ed abbia una sua complessità. Quindi va affrontato all’interno, con molteplici interventi che riportino al centro i diritti costituzionali, riducano le detenzioni non necessarie, si chiedano sempre il senso della misura giudiziaria, a partire da quelle cautelari, provvisorie, definitive (comprese quelle ai sensi dell’art. 219 c.p. per i seminfermi da svolgersi a fine pena) fino a quelle alternative e ai sensi della sentenza n. 99/2019 della Corte Costituzionale.
In questa riflessione rientra certo anche la condizione delle Articolazioni Tutela della Salute Mentale e lo stato dell’assistenza psichiatrica negli Istituti di Pena.
- e) Le liste di attesa
Il problema delle liste di attesa, posto con forza all’attenzione dell’opinione pubblica e dei professionisti, emblematico l’intervento della ministra Cartabia alla Conferenza nazionale della Salute Mentale, è stato oggetto di drammatizzazioni che hanno portato la sanità nella condizione di sentirsi responsabile del problema, ed essere quella che “deve” risolverlo. Non vi è dubbio che il peso psicologico e la responsabilità (visto il persistere della “posizione di garanzia”)della chiusura degli OPG sia stata in gran parte sulle spalle della psichiatria. L’ho vissuto direttamente in caso di allontanamenti non concordati dalla REMS. Ma non può essere così visto che si tratta di una legge dello stato che ha posto fine ad un sistema indegno di un Paese appena civile e pertanto richiede un’ampia collaborazione interistituzionale. Comprendo bene le difficoltà di giudici, avvocati, di fronte alle sofferenze delle persone e delle loro famiglie. E’imbarazzante, ingiusto e fonte di grande disagio professionale e umano non poter dare le risposte appropriate.
Il problema delle liste di attesa va affrontato e risolto in ogni ambito mediante un cambio delle prassi che unisca punti di forza e debolezze, veda concretamente cosa fare caso per caso, governi accessi, monitori percorsi e faciliti le dimissioni. Un coordinamento tra giustizia e psichiatria si deve avvalere di forme di collaborazione strutturata a livello regionale e coordinata dall’Osservatorio nazionale. Una Consensus Conference nazionale potrebbe portare all’individuazione delle “Buone prassi” e alla loro realizzazione.
- f) I diritti delle persone con disturbi mentali
La via maestra è il superamento del doppio binario. Proposta dell’on. Riccardo Magi n. 2939/2021.
Mantenendo il doppio binario si potrebbe per lo meno adeguare il codice penale nei punti più critici e cambiare il linguaggio abbandonando termini come ad esempio “internati”. Abolire le misure di sicurezza detentive provvisorie ed assicurare le alternative previste dalla legge 67/2014 alla misura di sicurezza detentiva. Assicurare i diritti di cittadinanza (reddito, lavoro, casa) mediante il coinvolgimento degli Enti locali, Prefetture, società civile, Garanti nazionale e regionale.
- g) Le Risorse
E’ il tema ineludibile e va quantificato l’investimento necessario. Per ridare un respiro almeno ai percorsi giudiziari (personale, strumenti come Budget di Salute, strutture) servono circa 300 milioni anno. Importante è la cultura dei DSM e dare un’unitarietà e coerenza ai percorsi, individuando e valorizzando le strutture dell’intera rete territoriale e alternativa alle REMS. Le pur giuste critiche ai DSM non devono far dimenticare il grande impegno e la motivazione di tantissimi operatori e il fatto che la riforma è stata applicata (si stimano in 6mila le persone con misure giudiziarie nel territorio, di cui il 70% in residenze) con risorse sanitarie correnti, molte carenze e senza un monitoraggio e una metodologia precisa. L’aggancio al PNRR (azioni 5 e 6) potrebbe essere cruciale anche per questo ambito della salute mentale.
Conclusioni
La sentenza della Corte Costituzionale ha aspetti positivi ma contiene una concezione della cura del malato mentale non coerente con le attuali conoscenze e pratiche psichiatriche. Un punto che va superato completamente se si vuole mantenere centrale il mandato di cura, l’unico che la psichiatria può realizzare.
Da questo può derivare un coerente modello organizzativo, sanitario e sociale, incentrato su una visione unitaria in grado di assicurare il diritto alla salute a prescindere dalla condizione giuridica della persona.
Si è creato un sistema giudiziario e di cura fondato sulla comunità che va completato con adeguate risorse, investimenti, strumenti e formazione. Il tema dei diritti e doveri delle persone con disturbi mentali è centrale e va affrontato attraverso una riforma radicale del doppio binario e per lo meno superando completamente le misure più inique come la misure di sicurezza detentive provvisorie e prevedendo alternative per quelle detentive definitive. I diritti vanno assicurati negli istituti di pena e nel territorio dove invece è elevato il rischio solitudine e abbandono.
L’Autore Pietro Pellegrini è Direttore Dipartimento Assistenziale Integrato Salute Mentale Dipendenze Patologiche Ausl di Parma.