Post Opg, il nuovo accordo Stato Regioni: luci e ombre. di Pietro Pellegrini, Anna Pellegrini
L’Accordo per la gestione dei pazienti psichiatrici con misura di sicurezza approvato il 30 novembre 2022 dalla Conferenza Unificata (vedi Accordo CU 188/2022) è il risultato del dialogo interistituzionale svoltosi presso il Tavolo di consultazione permanente sulla sanità penitenziaria.
Il documento prevede la creazione di due organismi: una “Cabina di regia nazionale” che si affianca all’“Organismo di Coordinamento per il superamento dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario (Opg)” presso il Ministero della Salute; e un “Punto Unico Regionale” con l’obiettivo di supportare l’Autorità giudiziaria, di fungere da raccordo con i Dipartimenti di Salute Mentale (Dsm) e di promuovere Protocolli locali. Questi hanno l’obiettivo di elaborare “condivisi percorsi assistenziali” per i quali sono essenziali, oltre ai periti, il consenso e la partecipazione del paziente, nonché l’attività di avvocati, amministratori di sostegno e garanti che andranno coinvolti a tutti i livelli.
L’Accordo dà priorità alla cura, al cui interno si colloca la misura di sicurezza, e ribalta la visione per la quale è la misura di sicurezza a contenere il programma terapeutico fino a coincidere con esso, in forma obbligatoria e coercitiva.
L’art. 1 conferma il principio di territorialità: le persone sottoposte a misure di sicurezza devono essere prese in cura dal Dsm del loro territorio. Ciò contrasta con la previsione della possibilità della creazione di Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (Rems) nazionali, come quella di Calice al Cornoviglio (La Spezia). Scelte che ledono il principio di territorialità, necessario affinché i pazienti possano essere seguiti dai Centri che li hanno in cura, mantenere rapporti con i loro cari ed essere reinseriti nel proprio tessuto sociale, visto che molti pazienti sono senza documenti, residenza, casa, reddito.
L’attenzione posta sulle Rems non deve far dimenticare che queste strutture rappresentano l’extrema ratio e fanno parte dei Dipartimenti di salute mentale, vero core del sistema, i quali seguono circa 6.000 pazienti con misure giudiziarie.
“Le attività terapeutico riabilitative, quali elementi costitutivi del percorso di cura, ancorché svolte in luogo esterno alla Rems (…) non necessitano di ulteriore avvallo da parte dell’Autorità Giudiziaria” (art 8). Una svolta per riconoscere la natura di “Residenza” della Rems, la sua integrazione con il territorio e per andare oltre gli aspetti custodiali tramite Regolamenti, Carte dei Servizi e dei Diritti.
I criteri per la gestione della lista di attesa per entrare in Rems, oltre a quello temporale, sono le “caratteristiche sanitarie” del paziente, “il livello attuale di inappropriatezza della collocazione” in Istituto Penitenziario o in Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (Spdc) e dell’adeguatezza di “alternative alla Rems”, mentre non viene indicata la gravità del reato.
Resta aperto il problema delle misure di sicurezza provvisorie che riguardano il 40% delle persone in Rems e sono causa dell’80% delle detenzioni sine titulo. Il tema della libertà vigilata, spesso prorogata sine die, è rimasto nell’ombra così come la tutela della salute mentale negli Istituti di Pena e nelle Articolazioni Tutela Salute Mentale, facendo venire meno una visione d’insieme dell’intero sistema.
I Dsm hanno l’obbligo di presa in carico dei pazienti ma devono farlo ad “invarianza di spesa”. Una contraddizione, un rischio di negare diritti e di inadempienza che grava sugli operatori psichiatrici ai quali invece della “posizione di garanzia” dovrebbe riconoscersi un “privilegio terapeutico”.
Pare ancora lunga la via per andare oltre le Rems, dare priorità ai programmi terapeutici con Budget di Salute e creare un sistema di cura e di giustizia di comunità. Un accordo fatto di luci ed ombre, in attesa, come proposto dall’on. Magi (p.d.l. n. 2939/2021, di una riforma radicale dell’imputabilità.
fonte: il manifesto – Fuoriluogo