Dopo l’omicidio della psichiatra Barbara Capovani. di Pietro Pellegrini
Trascorsi alcuni giorni dall’omicidio della psichiatra Barbara Capovani dopo lo sconcerto, il dolore e le tante prese di posizione si stanno delineando le possibili linee di intervento onde evitare che tutto finisca con il restare invariato. Per punti.
- a) Le indagini chiariranno la dinamica dei fatti accaduti in pieno giorno, all’interno di un grande ospedale. Un omicidio commesso a quanto pare da una persona conosciuta, ripetutamente segnalata e oggetto di diversi interventi giudiziari e sanitari. Le questioni della “security” e della “safety” verranno certamente analizzate. E’ un gravissimo incidente sul lavoro, connesso all’attività medica e certamente non mancano Circolari e documenti per la sicurezza delle cure e degli ambienti di lavoro che vanno dal reparto ospedaliero fino alla casa della persona, passando per Case della Comunità, ambulatori, Centri di Salute mentale, Residenze, Centri diurni.
Un tema rilevante che dovrebbe essere oggetto di un lavoro congiunto delle Aziende Sanitarie, Dipartimenti di Salute Mentale, Forze dell’Ordine coinvolgendo Sindaci, cittadini, associazioni, comunità. La sicurezza come prodotto di un lavoro comune, dove diritti/doveri sono l’esito di una tutela e di un reciproco rispetto delle persone e del bene pubblico. Un rilancio del “patto sociale”, di una coesione che rischia di essere lesa da fenomeni di frammentazione, violenza e anomia.
Il 28 aprile è la giornata mondiale per la sicurezza sul lavoro. E’ necessario vedere lo specifico della sanità e della psichiatria e agire di conseguenza sui diversi piani: sedi, attrezzature, personale, formazione di operatori e cittadini. Molto è stato fatto molto resta da fare. Non vi sono scorciatoie, nessun intervento può essere considerato risolutivo (né la descalation, né l’addestramento del personale alla difesa personale…) ma la sicurezza va pensata e il rischio valutato e prevenuto. Non vi è un modello organizzativo in grado di azzerarlo.
Il problema della violenza a danno dei medici è presente anche a livello internazionale e purtroppo non è nuovo. Lorettu (2015)[1] rileva che nel periodo 1998-2013 (quindi prima della chiusura degli OPG) vi sono stati 18 omicidi di medici, di cui 6 psichiatri, 4 MMG e 3 di guardia medica, 2 urologi. Gli autori sono risultati essere affetti da disturbi mentali in 7 casi (38,8%). Un dato che dovrebbe portare a riflettere sulla violenza della “normalità” (“normotica”) meno percepita di quanto sia quella delle persone con disturbi mentali.
A maggior ragione quando le minacce, gli agiti e i reati sono numerosi e protratti negli anni da parte di soggetti di solito imputabili. L’insufficiente protezione e la carenze di strategie si evidenziano anche nella prevenzione dei femminicidi, dello stalking, delle violenze intrafamiliari e relazionali nonostante leggi specifiche (c.d. Codice Rosso 69/2019).
La quota di violenze che matura negli ambiti domestici e riverbera sui servizi è in netta crescita. Quindi si tratta di una problematica che arriva/viene indirizzata/affidata ai servizi sanitari ben prima della definizione dell’imputabilità, già nella fase delle indagini. Il disagio sociale e familiare, anche quando esita in reati, deve vedere compresenti un insieme di interventi educativi, sociali e sanitari. La patologizzazione del disagio comporta un carico improprio dei servizi sanitari e soprattutto indirizza su una linea deviata l’insieme dei problemi, ritardandone così la soluzione.
- b) La gestione dell’ordine pubblico e della convivenza sociale. Nonostante l’Italia abbia visto una netta diminuzione degli omicidi, passati dai 1916 del 1991 ai 318 del 2022, è aumentata la percezione di insicurezza. Questo riguarda in primis gli stranieri, tossicodipendenti ma può riguardare anche le persone con disturbi mentali con conseguenze negative e talora tragiche. Proprio due giorni fa a Vicenza una persona scalza, con una tunica e manifestazioni clamorose, inneggiante ad Allah è stato fermato da due carabinieri e dopo averne disarmato uno, con l’arma è riuscito a ferire un agente della polizia municipale, per poi essere ucciso dall’altro carabiniere. Un incidente che ne ricorda altri accaduti negli ultimi anni (nel 2019 alla Questura di Trieste, nel 2020 a Voghera) facendo riflettere sull’opportunità, per la sicurezza di ridurre la presenza delle armi. In particolare in sanità dove sono portate anche da agenti della Vigilanza privata.
Il tema non riguarda una marginalità esclusa e sbandata che sopravvive intorno a stazioni, parchi… o si presenta ai rave party ma interessa il mondo “per bene” dove le scelte di vita, l’uso di droghe e alcool sono al contempo un fatto privato e un problema sociale, di sicurezza stradale e lavorativa prima ancora che una questione sanitaria, la quale per essere affrontata richiede sempre la costruzione di una motivazione.
In questo quadro, appare altresì evidente una difficoltà a gestire il conflitto, la devianza e le violazioni specie quelle ripetute e di limitata entità o che si esprimono a diversi livelli, anche attraverso internet mediante il linguaggio d’odio o messaggi istiganti al suicidio. Il senso dell’autorità, del dovere e del rispetto delle norme e di quello reciproco sono in crisi in termini educativi ed etici prima ancora che penali.
Riguardano minoranze che tuttavia sono portatrici di convinzioni radicate, false credenze, teorie balzane ma portate avanti con determinazione e con una tendenza al proselitismo. Lo si è visto con il Covid, dove si sono avuti No Vax, No Green pass ma questo si sta verificando anche in ogni ambito medico e sociale (si pensi al fondamentalismo religioso e le aggressioni con auto su folle inermi, o attacchi a parroci, le aggressioni ai medici che praticano aborti). Vi sono quindi posizioni marginali, settarie, tentate ad affermare con determinazione e talora la forza le proprie ragioni, sopprimendo chi si ritiene fonte del male.
Questo in un contesto sociale che ha svalutato le competenze tecnico scientifiche, il prestigio del lavoro di cura, l’autorevolezza del servizio pubblico. Una questione che rimanda al tema, giustamente sollevato delle risorse onde ridurre il divario domanda-offerta, migliorare la sicurezza mediante un’adeguata intensità di cura senza le liste di attesa. Le risorse economiche e soprattutto umane, culturali e tecnico scientifiche sostenute dall’apporto di tutta la comunità in grado di esprimere con coerenza, capacità di accoglienza, dialogo, senso di equilibrio, giusta misura e senso del limite. Una ritrovata sintonia che superi contraddizioni e linguaggi contrastanti.
- c) Da più parti, giustamente, è stata citata la legge 81/2014 e ciò è rilevante non solo perché chiusi gli OPG, ancora non si sono definiti tutti i percorsi, i livelli di cura e la qualità delle stesse nei diversi ambiti: Istituti di Pena, Articolazioni Tutela Salute Mentale, REMS ma anche e soprattutto Residenze Psichiatriche, SPDC e Centri di Salute Mentale sui quali è ricaduta gran parte dell’attuazione della legge. Come si realizza un sistema di cura e giudiziario di comunità resta una sfida aperta e deve vedere una grande collaborazione interistituzionale (magistratura, forze dell’ordine, avvocatura, garanti, sociale e sanitario) senza deleghe improprie alla psichiatria che può esercitare un solo mandato quello della cura e della sorveglianza sanitaria.
In questo periodo, come è stato evidenziato da molti direttori di dipartimento, la richiesta è custodiale e soprattutto di luoghi ove collocare i “disturbanti” sia a livello sociale che detentivo. Ciò sembra prevalere rispetto all’analisi dei bisogni e ad una loro risposta, puntuale e appropriata. Quando mancano documenti, permessi di soggiorno, reddito, lavoro, la casa la cura medica è assai difficile. A volte serve qualcuno che se ne occupi e l’affidamento ai servizi sociali è talora sostituito da quello ai servizi sanitari senza verificare la motivazione alla cura. I servizi di salute mentale non sono organizzati per svolgere funzioni custodiali.
Come è stato ripetutamente rilevato le difficoltà maggiori vengono da persone con disturbi gravi della personalità, psicopatia e uso di sostanze per i quali vanno individuati percorsi specifici. La psichiatria non ha strumenti di previsione e di prevenzione, né ha la possibilità di trattare con certezza di risultati le persone con gravi disturbi della personalità. I servizi di salute mentale non vanno lasciati soli, isolati ma deve essere attivata una solida collaborazione interistituzionale. Con la persona va stipulato un “doppio patto” uno per la cura e l’altro per la prevenzione di nuovi reati, patti che siano chiari e ben delineati sotto il profilo delle competenze e delle responsabilità, evitando ambiguità.
La chiusura degli OPG è frutto di una riforma di civiltà ma incompiuta e richiede diversi interventi legislativi e attuativi. Vista l’attenzione del Ministro della Salute Orazio Schillaci mi permetto di riassumere i punti più rilevanti:
1) la riforma dell’imputabilità che abolisca art.88 e 89 del c.p. (come prevedeva il D.l 2939 presentato la scorsa legislatura dall’on. Riccardo Magi) che separi la fase valutativa da quella trattamentale e terapeutica. Deve essere bloccata l’espansione dei non imputabili e dei seminfermi di mente come accade con i disturbi della personalità (a seguito della c.d Sentenza Raso della Corte di Cassazione). Abolizione delle misure di sicurezza detentive provvisorie e di quelle ai sensi dell’art 219 c.p per i seminfermi di mente. Al contempo serve definire un insieme di norme per l’attuazione delle misure giudiziarie di comunità, ambito nel quale si realizza anche la cura.
2) Assicurare adeguate le risorse economiche e di personale (con riferimento 5% della spesa sanitaria) superando i tetti delle assunzioni.
3) Rivedere le norme su posizione di garanzia del medico in favore del “privilegio terapeutico” abolendo l’obbligo di rapporto e referto, depenalizzare l’atto medico prevedendo responsabilità istituzionali gruppali e allargate;
4) Ripensare la normativa sulle droghe onde evitare la criminalizzazione dei consumatori e quindi un forte impegno del sistema penale; promuovere diritti e garanzie per le persone per evitare derive e abbandoni negli istituti di pena;
5) Sul piano operativo occorre delineare percorsi di cura unitari che vadano dall’assistenza psichiatrica nel territori, negli Istituti di Pena, nelle Articolazioni Tutela Salute Mentale e servizi dei DSM comprese le REMS dando attuazione alla sentenza 99/2019 della Corte Costituzionale. Le attività di cura, comprese ammissioni e dimissioni, devono essere competenza esclusiva dei medici e non sono accettabili degenze ospedaliere o residenziali per meri motivi giudiziari. Le risposte possono essere ulteriormente qualificate e diversificate prevedendo tra l’altro forme di intervento mediante il Budget di Salute adeguatamente finanziati. Va riflettuto anche sul mandato e sull’utilizzo delle REMS visto che meno del 60% ha misure definite, la questione delle liste di attesa (la maggior parte sono di tipo provvisorio). Soprattutto va definito come si devono organizzare i DSM (Unità di psichiatria forense) e con quali risorse per fare fronte ai nuovi compiti. Riformare e superare le REMS anche con iniziative sperimentali che coinvolgano i ministeri della giustizia e interni.
- d) Infine una riflessione sulla psichiatria. E’ stata colpita a morte una protagonista della ”psichiatria gentile” praticata ogni giorno con dedizione, motivazione, alte competenze e sensibilità etica da migliaia di operatori per il 70% circa di genere femminile. Una psichiatria umana, che accompagna e con tutti i suoi limiti resta accanto alle persone che soffrono. Spesso nell’ingratitudine, nello sforzo coraggioso di aiutare persone che talora non sono consapevoli, non collaborano.
La psichiatria si alimenta di posizioni critiche nella ricerca di ambiti conoscitivi e operativi nuovi. Il momento del dolore unisce tutti nella consapevolezza della forza e al tempo stesso dei limiti di ogni psichiatria (biologica, dei trattamenti farmacologici, degli interventi psicoterapici e psicosociali). Mario Maj (2017) parla di crisi del paradigma neokraepeliniano fondato sul modello categoriale ed apre riflessioni per una nuova psicopatologia condivisa. Questa può trarre riferimenti importanti da neuroscienze (genetica/epigenetica, plasticità cerebrale) e psicologia evolutiva (salute mentale dell’intero arco di vita) per innovare attività di prevenzione e cura sempre fondate sui diritti/doveri, sull’accoglienza e il riconoscimento dell’altro, della sua umanità, anche di fronte ad eventi così tragici e irreparabili. Un’umanità che sopravvive e sa rigenerarsi in un’unità ideale di tutte le sue componenti, utenti e familiari compresi, con una dignità e autonomia lontana dalla riproposizione di rapporti ancillari con ogni potere.
[1]Lorettu L. , Falchi L., Nivoli F.L, Milia P, Nivoli G. , Nivoli A. M. L’omicidio del medico Rivista di Psichiatria 2015; 50(4): 175-180 https://www.rivistadipsichiatria.it/archivio/2002/articoli/21646/
Pietro Pellegrini Direttore Dipartimento Salute Mentale Dipendenze Patologiche Ausl di Parma