Il tragico destino di una brava psichiatra. di Roberto Mezzina
Il tragico destino di una brava psichiatra, il suo omicidio forse premeditato, oltre al dolore, all’orrore e allo sdegno che ha suscitato, non possono e non devono diventare l’ennesimo pretesto per mettere in discussione ciò che il nostro paese ha ottenuto dopo una legge epocale, la legge 180.
Chiamarla ‘legge Basaglia’ non rende merito allo sforzo collettivo di tanti altri che contribuirono a scriverla e delle tante esperienze che la resero credibile e possibile, e all’unità delle forze politiche che la vollero, non senza resistenze e reazioni.
Va qui ricordato che per vent’anni si sono avvicendati mancanza di finanziamenti, assenza di servizi alternativi, tentativi e proposte di ritorno indietro, fino all’atto irreversibile della chiusura finale di tutti i manicomi alla fine del secolo precedente grazie al ministro Bindi. Solo allora finalmente l’Italia ha investito qualcosa in più sulla salute mentale, ma per pochi anni: subito dopo, con la crisi del 2011, è iniziato il definanziamento che ci ha portato al livello più basso nei paesi OCSE (2,75% del fondo sanitario nazionale).
Nella seconda decade del nostro secolo, anche la questione degli ospedali psichiatrici giudiziari (gli ex-manicomi criminali) è finalmente arrivata all’attenzione del Presidente della Repubblica Napolitano, grazie alla Commissione Parlamentare Marino. La quale, detto per inciso, aveva girato tutta l’Italia identificando le necessità di potenziamento in Centri di Salute Mentale aperti 24 ore come in Friuli Venezia Giulia, dotati di risorse e percorsi individuali riabilitativi, lavorativi e abitativi, contrastando così la crescente cattiva pratica del legare nei servizi ospedalieri e l’abbandono degli utenti e delle loro famiglie. La costruzione delle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, le cosiddette Rems, invece lasciò indietro tutto questo; certo permise la chiusura degli OPG, ma senza che il vetusto pilastro del Codice Penale che li reggeva, la non imputabilità per infermità mentale, fosse rivisto e abrogato. La ‘sanzione’, il limite al comportamento individuale, come per ogni cittadino, non deve essere attuata dalla psichiatria, ma dalla legge.
A livello mondiale, l’OMS reclama il rispetto dei diritti umani dei pazienti riconoscendone anche i doveri di fronte alla legge. Ma l’Italia nulla ha fatto se non vaghi propositi governativi di abolire la contenzione, senza un piano di formazione e di potenziamento dei servizi del territorio. Con il palleggiamento e la confusione di ruoli tra giustizia e psichiatria cui si assiste oggi, anche in questa regione: persone piantonate nei Servizi Psichiatrici Ospedalieri messi sotto pressione, Centri di Salute Mentale infragiliti, richiesta di ulteriori Rems, mentre non si comprende come le stesse Rems previste non siano state completate come a Udine, passando da 6 a 10 posti letto regionali. Una proposta di legge nazionale ha chiesto nella passata legislatura l’abolizione degli art 88 e 89 del Codice Penale che regola la non imputabilità, non confondendo la questione della pena con quella della cura. Le persone con disturbo mentale devono essere giudicate e se è il caso andare in carcere, o avere pene alternative, ma vanno seguite all’interno dei luoghi di pena da servizi di salute mentale, gestiti dai dipartimenti pubblici, che assicurano la necessaria continuità di cura e la prevenzione di ulteriori reati.
Al tempo stesso, la drammatica carenza di risorse umane adeguatamente formate va affrontata. Un’altra proposta di legge, depositata in ben due legislature ma mai arrivata al dibattito parlamentare, chiede di realizzare ciò che la Commissione Parlamentare aveva chiesto, applicando ‘veramente’ la riforma. Ciò che invece si profila è l’aumento dei posti in Rems magari privatizzate, e nei servizi ospedalieri. Il che significa non affrontare il problema alla radice, ma solo aumentare le misure restrittive che peggiorano i rapporti tra utenti e servizi, trasformando gli operatori in carcerieri e oppressori anziché permettere loro di curare nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone. Non abolire la 180, ma realizzarla compiutamente, ecco la direzione giusta da imboccare.
Roberto Mezzina, psichiatra, già direttore del Dipartimento di Salute Mentale di Trieste, Vicepresidente della Federazione Mondiale della Salute Mentale