Incapacità di intendere e volere: una proposta radicale. di Pietro Pellegrini
E’ passato poco più di un mese dall’omicidio della psichiatra Barbara Capovani. La mobilitazione che ne è seguita ha avanzato diverse istanze riassumibili in due linee principali: a) la richiesta di un aumento delle risorse dei Dipartimenti di salute mentale e il rilancio della loro organizzazione; b) la riforma delle norme penali come base per la revisione dei percorsi giudiziari e di cura.
In attesa delle azioni del governo e della Commissione attivata dal Ministero della Salute, un’importante iniziativa è stata assunta dall’on. Riccardo Magi che ha presentato il disegno di legge n 1.119 “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di imputabilità e di misure alternative alla detenzione per le persone con disabilità psicosociale” che supera il “doppio binario”, attraverso l’abolizione dell’art. 88 (vizio totale di mente) e art. 89 (vizio parziale).
Alla persona, anche se con disturbi mentali, viene quindi garantito il diritto al processo, ad essere giudicato per il fatto commesso e non viene dichiarato “prosciolto” perché incapace di intendere o volere.
L’attuale situazione configura una diminuzione di diritti e doveri[2], finendo per lambire la dignità della persona. Infatti, spesso ancor prima di ogni giudizio, la persona con sospetti disturbi mentali o “disturbante” viene ad essere considerata “pericolosa socialmente” e si vede applicata una misura di sicurezza detentiva provvisoria di indefinita durata e dai contenuti non chiari. Ciò di solito avviene quando è ancora presunta l’innocenza cioè ancor prima di avere accertato la colpevolezza, e di avere accuratamente esaminato lo stato di salute mentale ai fini dell’imputabilità ma soprattutto per la predisposizione di un percorso di cura che deve basarsi sempre su consenso e partecipazione della persona.
Il “vizio di mente” e “infermità mentale” fanno riferimento alla psichiatria positivista del primo novecento, non orientata al modello biopsicosociale, relazionale e culturale. In questo modo non si creano le migliori condizioni per la cura perché in primo piano viene collocata la “pericolosità sociale” e la sua gestione attraverso le misure di sicurezza. Un’impostazione presente nel nostro codice penale del 1930 che è in sintonia con la legge 36/1904 per la quale le persone con alienazione mentale che risultavano “pericolose a sé e agli altri” dovevano essere prima “custodite” e poi curate nei manicomi. Una norma abrogata dalla legge 180 e che tuttavia persiste nella cultura operativa e si palesa nelle improprie richieste custodiali avanzate dai magistrati ai dipartimenti di salute mentale ed ha fatto capolino anche nella sentenza 22/2022 della Corte Costituzionale che definisce le misure di sicurezza detentive come “ancipite”, cioè al contempo di custodia e di cura coercitiva. Una posizione in contrasto con legge 180, 18/2009 e 219/2017 che fondano sulla volontarietà gli accertamenti e i trattamenti sanitari. Una condizione che trova conferma nella pratica clinica e nei trattamenti che si possono realizzare sono con la motivazione e la partecipazione della persona.
E’ quindi necessaria una riforma radicale che faccia chiarezza e crei le migliori condizioni per la cura e la sicurezza. La proposta Magi va in questa direzione in quanto coglie un punto fondamentale: la persona ha bisogno del pronunciamento della legge in quanto nel suo mondo interno è presente il reato che non deve giustificato ma accolto, compreso, elaborato. La pena, ai sensi dell’art 27 della Costituzione, è l’occasione per un esame di realtà dal quale può iniziare nella chiarezza un lavoro mentale che deve essere libero (per il malato e lo psichiatra) al fine della cura e del reinserimento nella comunità. In questo senso la responsabilità è terapeutica. Richiede un impegno della persona, la creazione dialogica della motivazione e la sottoscrizione di un patto, l’assunzione di impegni.
La pena dà certezze di tempi e non è sottoposta come le misure di sicurezza a ripetute angoscianti proroghe. Si articola negli aspetti retributivi e trattamentali al fine della rieducazione e dell’inclusione sociale. Questi non coincidono affatto con la cura della patologia mentale ma hanno una loro autonomia e specificità nell’ambito dell’esecuzione penale. Collaborazioni e sinergie possono essere molto efficaci.
Il proscioglimento, specie se preceduto da misure di sicurezza detentive provvisorie, crea un limbo incomprensibile, un’angosciosa sospensione, un silenzio kafkiano. E’ la malattia ad avere agito, non la persona, giudicata incapace e quindi indegna di ascolto e dialogo. In relazione al fatto reato la legge non si esprime (con una pena, una sanzione precisa, un giudizio) ma lascia alla sola psichiatria la persona con il suo peso, l’impotenza e l’ombra quasi indelebile della pericolosità sociale. I clinici sanno quanto sia difficile dipanare questi intricati e confusi vissuti e quanta oscurità, fraintendimenti e angosciosa sofferenza ciò possa determinare. Temono la posizione di garanzia in base alla quale pare debba essere lo psichiatra a dover controllare, custodire e prevenire. Compiti impropri, impossibili ed antiterapeutici.
Si deve affermare la via della responsabilità, dell’imputabilità anche “assistita” che in ambito penale come ormai da tempo avviene in quello civile dove l’amministrazione di sostegno, aiuta il beneficiario rispetto a diritti e doveri. Non più l’interdizione, la tutela e la perdita dei diritti ma al contrario l’accesso ai diritti.
Questo riconoscimento di responsabilità chiude a proscioglimenti per Disturbi della personalità facilitati dalla sentenza n.9163/2005 della Corte di Cassazione. Un tema quanto mai attuale a fronte del persistere di reati come i femminicidi, sex offender con alte componenti relazionali. Una via per evitare l’impropria delega ai servizi di salute mentale di persone con psicopatia.
In sede di esecuzione penale, la proposta di legge tiene conto della “disabilità psicosociale” (termine derivato dalla legge 18/2009 di ratifica della Convenzione dei diritti delle persone con disabilità) e prevede misure alternative anche in deroga. Questo nuovo impianto legislativo non prevede più misure di sicurezza provvisorie e va completato sul piano organizzativo affinché si realizzi un miglioramento della salute mentale negli Istituti di Pena e si arricchiscano le risposte multimodali sul territorio da parte dei Dipartimenti di Salute Mentale, di concerto con i sistemi giudiziario e della sicurezza coinvolgendo Comuni, avvocatura, garanti, associazioni, utenti e società civile.
In questo quadro si può sviluppare, ciascuno per le proprie competenze, la collaborazione interistituzionale. La vita appartiene alla persona che ha diritto ad autodeterminarsi, anche rispetto al reato e alle sue conseguenze delle quali deve rispondere alla Comunità nel rispetto della legge amministrata dalla Giustizia (pena e trattamenti rieducativi). La sicurezza e il compito di prevenire nuovi reati spettano alle Forze dell’odine e le competenze della cura psichiatrica ai Dipartimenti di Salute Mentale. Solo con questa chiarezza si può affrontare la pluralità di bisogni delle persone e ciò richiede una molteplicità di risposte sociali, educative, lavorative, alloggiative, ma anche giudiziarie e legate alla sicurezza e alla prevenzione di nuovi reati e ancora di tipo sanitario e psichiatrico. Così si può costruire un sistema di cura e giudiziario di comunità. In questo quadro vi è da auspicare un ampio consenso alla proposta di legge che dovrebbe essere completata con l’abolizione della posizione di garanzia dello psichiatra in favore del “privilegio terapeutico”.
Una proposta preferibile rispetto ad altre che lasciano intatto il doppio binario e mirano “solo” alla riduzione delle condizioni che possono dare luogo al proscioglimento limitandole ai soli disturbi psicotici escludendo i disturbi gravi della personalità. Una pur apprezzabile volontà di ridurre la non imputabilità che, fatta salva la psicopatia, può essere anche di difficile applicazione visti i confini talora molto labili tra psicosi e disturbi di personalità, specie se con uso di sostanze psicoattive.
Per concludere il disegno di legge Magi riconosce pienezza di diritti e doveri alla persona con disturbi mentali e ciò rappresenta il passo per il completamento della legge 180 e rilanciare il sistema di salute mentale del nostro Paese.
[2] Pellegrini P., et al. Persone con disturbi mentali in ambito penale. Diritti e doveri: molto resta da fare! L’Altro, Anno XXIV, n. 2 Luglio Dicembre 2021, 25-30
Pietro Pellegrini Direttore Dipartimento Assistenziale Integrato Salute Mentale Dipendenze Patologiche Ausl di Parma